lunedì 20 febbraio 2012

LA GUERRA


LA II GUERRA MONDIALE AL GIRO DI BOA

    IL 1943 E LA CAMPAGNA D’ITALIA



Tra la fine del 1942, con la sconfitta di El Alamein in Africa, e l’inizio del 1943, con la caduta di Stalingrado in Europa e di Guadalcanal nel Pacifico, si era esaurita definitivamente la prima fase espansiva della guerra da parte delle truppe dell’Asse. Con le conseguenti ritirate,  iniziò la seconda ed ultima fase.
Giovanni De Luna, trattando de “La seconda guerra mondiale”[1], nel par. 7 su “L’assalto alla fortezza Europa”, precisa che “La periodizzazione della seconda guerra mondiale più diffusa a livello storiografico insiste nella distinzione tra le due fasi, 1939/1943 e 1943/1945 prendendo come riferimento proprio l’inversione di tendenza appena descritta …”
Anche Ezio Costanzo, nel primo capitolo del suo libro “Sicilia 1943”,[2] ritiene che “Il 1943, oltre ad essere stato l’anno dell’assalto anglo-americano alla ‘fortezza Europa’, rappresentò ‘il giro di boa’ del conflitto mondiale, registrando una sequenza di eventi che aprirono la strada al definitivo crollo del dominio in Europa del Terzo Reich.”
Per le forze alleate anglo-americane si pose subito dopo il problema della prosecuzione della guerra sia in Europa sia in Asia.
Il 14 Gennaio 1943 si incontrarono a Casablanca il Presidente Americano F. D. Roosevelt ed il Primo Ministro Inglese W. Churchill per prendere in considerazione  l’apertura di un fronte ad Ovest, come era stato espressamente ed insistentemente richiesto da Stalin, per costringere i Tedeschi a difendersi su due fronti. Ovviamente trattarono anche della prosecuzione della guerra nel Pacifico. In tale occasione fu deciso lo sbarco in Sicilia e solo successivamente gli altri nell’Italia continentale.
Il Gen. Alexander[3] ci conferma che “allo scopo di aprire il Mediterraneo alla navigazione delle Nazioni Unite senza tema di interruzioni, la Conferenza di Casablanca considerò l’invasione della Sicilia come continuazione della liberazione del Nord Africa”. Egli aggiunge che allora “non si guardò oltre” (e cioè al successivo sbarco nell’Italia peninsulare).
Il Colonnello inglese G. A. Shepperd[4] ci narra che “La decisione di far seguire l’invasione della Sicilia all’eliminazione delle forze dell’Asse nell’Africa settentrionale venne presa durante la conferenza di Casablanca (Symbol) nel gennaio 1943 e i piani per l’attacco alla penisola italiana si delinearono nel maggio 1943 durante la terza conferenza di Washington (Trident) che segnò la nascita della campagna d’Italia.” …. Egli precisa ancora che “Churchill[5]  parla del suo viaggio in Africa settentrionale per incontrarsi con il generale Eisenhower, immediatamente dopo la conferenza Trident. Fu qui che si decisero le sorti dell’Italia.”
Lo storico italo-americano Carlo D’Este[6] ricostruisce nei dettagli le vicende di questa conferenza e delle successive con ricchezza di particolari e con riferimenti a fonti storiche e documentali di prima mano.
Gli Americani proposero uno sbarco in Francia in quanto ritenevano determinante portare subito la guerra nel cuore dell’Europa. Gli Inglesi, più prudentemente, suggerirono di iniziare con uno sbarco in Sicilia, dove pensavano di poter trovare una minore resistenza, per ottenere, oltre che una facile vittoria, anche lo sganciamento dell’Italia dall’alleanza con la Germania. Rimasero famose le parole usate in tale occasione da Churchill che sollecitava di attaccare prima l’Italia perché la riteneva “il ventre molle dell’Europa”.
Gli Inglesi, capeggiati da un Churchill irruento e caratteriale e dal Capo di stato maggiore imperiale Generale sir Alan Bruke, metodico e pervicace, con l’assistenza di uno staff efficientissimo e forte dell’esperienza acquistata in tre anni di dura guerra, riuscirono a far valere le loro proposte. Gli Americani, invece, rappresentati da un Roosevelt incerto e disponibile e, pur validamente coordinati dal Generale George C. Marshall, Capo di Stato Maggiore, si presentarono alla riunione senza un’adeguata preparazione strategica e senza alcuna sostanziale esperienza per cui furono, alla fine, quasi costretti ad aderire alle proposte inglesi, ricevendo soltanto un formale impegno di uno sbarco in Francia da effettuarsi nel 1944.
Le decisioni prese a Casablanca furono prodromiche delle successive risoluzioni prese subito dopo a Washington e ad Algeri di continuare la guerra, dopo la conquista della Sicilia, nell’Italia continentale e furono determinanti ai fini del successivo andamento della stessa e lo furono di più per le sorti del nostro paese. L’Italia fu sostanzialmente penalizzata da queste decisioni dato che la guerra continuò nel suo territorio per tutti i due anni successivi con immani lutti e distruzioni provocati dalla caduta del Fascismo, dall’invasione tedesca e dalla conseguente guerra civile. Furono, invece, favorite la Sicilia e l’Italia Meridionale dato che per questi territori la guerra finì quasi subito con dei danni, tutto sommato, limitati.
Lunghe ed, ancora oggi, controverse sono state le diatribe in ordine a tali scelte.
Programmare, come fu fatto, un attacco all’Europa nazista partendo dalla Sicilia, è stato considerato un malcelato progetto strumentale più che un grave errore strategico.
Venne previsto un attacco alla cosiddetta “fortezza Europa” affrontando il nemico in uno dei punti più periferici e, come è stato detto, “anziché mirare al cuore o alla testa preferirono colpirlo all’alluce”[7]. E, vedi caso, l’alluce risultò essere peraltro uno dei baluardi geograficamente più fortificati dello schieramento.
E’ probabile, infatti, che siano state tenute in maggior considerazione le valutazioni politiche opportunistiche più che le condizioni oroidrografiche della penisola italiana, interamente percorsa dalla catena montuosa degli Appennini e delle sue propaggini che la traversano in tutti i sensi. Queste rendevano difficilissima la conduzione di una guerra di movimento quale fu quella attuata in tutto il conflitto, prima dai Tedeschi e poi dagli stessi Alleati.
Tuttavia forse non venne considerato adeguatamente il potenziale difensivo delle truppe tedesche che, in un tale territorio, riuscirono a bloccare e, comunque, a rallentare per mesi e mesi l’avanzata degli Alleati.
Tale circostanza fu, peraltro, subito evidente già in Sicilia dove un ridotto numero di truppe tedesche, coadiuvate da pochi italiani male armati e demotivati, riuscì a fermare per molte settimane l’invasione e principalmente l’VIII° armata del Generale Montgomery nella linea pedemontana tra le province di Catania ed Enna.
In tal  modo si consentì il ritiro oltre lo Stretto di Messina di quasi tutte le truppe ed i mezzi combattenti, rendendo per altro oltremodo difficile la conquista dell’Isola.
L’unico previsto e concreto effetto che si ottenne fu quello della caduta di Mussolini, del Fascismo e dell’armistizio con l’Italia. Tale vantaggio si rivelò, però, praticamente inesistente e forse controproducente. Immediatamente dopo, infatti, l’Italia venne invasa dai Tedeschi, senza che le poche truppe italiane stanziate nel territorio nazionale, sbandate e mal comandate, avessero potuto opporre resistenza alcuna (infatti il meglio dell’esercito era stato dislocato all’estero ed era stato in gran parte annientato nelle disastrose campagne di Russia e d’Africa).
Sta di fatto che la campagna d’Italia perdurò per ben due anni circa. Quando la Germania fu, alla fine, messa in ginocchio a seguito dell’apertura del fronte occidentale dopo lo sbarco in Normandia, avvenuto un anno dopo quello in Sicilia, ancora la conquista dell’Italia non era stata completata.
Tali decisioni furono variamente motivate e criticate.
Hugh Pond[8], colonnello e storico inglese, ci precisa che “gli Stati Uniti erano molto perplessi circa l’opportunità di continuare la guerra, in qualunque forma, nel Mediterraneo …. che tali operazioni non avrebbero distrutto la Germania, sarebbero state di scarsa utilità alla Russia e non avrebbero avuto il minimo effetto sul Giappone … e non si può dire che avessero torto.” A tali osservazioni, gli Inglesi risposero ambiguamente e con inadeguate valutazioni strategiche, che “Se si fosse arrivati a far uscire dalla guerra l’Italia, si sarebbe messa la Germania con le spalle al muro”, ma tale conseguenza non ci fu.
Carlo d’Este[9] afferma che, nonostante gli Americani fossero contrari alla prosecuzione della guerra nel Mediterraneo, tuttavia dovettero accettare a malincuore la scelta dello sbarco in Sicilia tanto che: “Sebbene detestasse tutto ciò che aveva a che fare con il Mediterraneo, Marshall non aveva dubbi sui vantaggi di invadere la Sicilia che considerava la migliore delle alternative disponibili … Se le sue ragioni contro ulteriori operazioni nel Mediterraneo non fossero state ascoltate (come non lo furono) …. avrebbe accettato (come poi fece) la Sicilia come operazione fondamentale e necessaria per accorciare le linee di comunicazione ed aprire tutto il Mediterraneo al movimento alleato”, ma non per altro.
Il Colonnello G. A. Shepperd[10] non nasconde i con­trasti esistenti in proposito tra Inglesi ed Ame­ricani ed, a sostegno della strategia inglese, riferi­sce quanto replicò sul punto di vista americano il generale Alanbrooke con “un magistrale apprez­zamento della situazione bellica” come riportato da Artur Bryant[11]e cioè che “Le ventuno divisioni disponibili nel 1943 non potevano portare a buon fine un attacco al di là della Manica. I Tedeschi erano troppo forti in Francia … Tuttavia, se gli Al­leati avessero attaccato nel Mediterraneo, i Tede­schi sarebbero stati costretti a spiegare … grandi forze per difendere una lunghissima linea costiera … Eliminando dalla guerra l’Italia, gli Alleati ... avrebbero lasciato la Germania con 54 divisioni e 2200 aerei in meno”.
Anche lo storico Claude Bertin[12] ci conferma che la posizione inglese, portata avanti da Churchill e dal suo Stato maggiore, era stata quella di ritenere che l’Africa Settentrionale avrebbe dovuto “svolgere la funzione …. di un trampolino di lancio” per invadere prima la Sicilia e poi l’Italia, come fu fatto, per poi attaccare la Germania da Sud, “essendo impossibile realizzare nel 1943 l’operazione Round-up (sbarco in Francia) a causa delle difficoltà di mettere così rapidamente insieme le 48 divisioni …”.
Alberto Santoni[13] aderisce a tali tesi con ulteriori argomentazioni e conclude però che “La storiografia …  soprattutto americana e marxista, punta troppo spesso il dito accusatore su Churchill, raffigurandolo come prevenuto oppositore del piano di sbarco oltre la Manica, al deliberato proposito antisovietico … “ e si dilunga poi su una presunta “buona fede di Churchill”, citando a sua difesa alcuni scritti dello stesso interessato.
In effetti bisogna pur riconoscere che è oltremodo probabile che la pervicacia degli Inglesi e di Churchill in particolare nel sostenere la campagna d’Italia fu determinata da inconfessabili calcoli politici a lungo termine.
Da un lato si immaginava che dare eccessivo spazio alle iniziative americane avrebbe potuto alla lunga aprire e facilitare la strada alla nuova nascente leadership statunitense, a discapito di quella inglese. Dall’altro lato si temeva anche che, aiutando concretamente i Russi con l’apertura immediata di un nuovo fronte in Francia, questi ultimi avrebbero avuto più facilmente ragione dei Tedeschi occupando gran parte dell’Europa continentale, a discapito di tutto il mondo occidentale.
Sta di fatto che ambedue le ipotesi vennero mancate: gli Americani riuscirono lo stesso a subentrare all’Inghilterra nella leadership del mondo occidentale e la Russia riuscì ad occupare tutta l’Europa dell’Est, mantenendola poi sotto la sua concreta dominazione per oltre sessanta anni.  
Come ci dice lo storico Giovanni De Luna[14], “In Wiston Churchill, una volta emersa con chiarezza la prospettiva della sconfitta hitleriana, furono molto presenti considerazioni e progetti legati più al dopoguerra che non alla guerra stessa. In particolare sul secondo fronte, Churchill fu sempre molto tiepido agli appelli di Stalin …”.
Egli continua assumendo che “Strenuo assertore del secondo fronte fu invece Roosevelt … (che) rimase sempre fedele al suo disegno strategico iniziale, quello che nella Germania aveva identificato l’avversario da battere …”.“(Egli) era assistito dalla consapevolezza che, alla fine della guerra, si sarebbe registrata comunque una incontrastata leadership internazionale degli U.S.A. tale da non rendere preoccupante un’eventuale accresciuta potenza sovietica …”.
L’Amm. Oscar Di Giamberardino[15] rileva che, dato che i Sovietici avevano “insistito” per l’apertura di “un nuovo fronte nell’Europa Occidentale allo scopo di far diminuire la pressione” tedesca sul fronte russo, gli Inglesi, ricordando Dunkerque, “non erano propensi a ritentare un’altra azione in Francia”, per cui proposero prima uno sbarco nell’Africa del Nord e poi in Sicilia.
Continua poi il Di Giamberardino che, non volendosi o non potendosi gli Alleati impegnare in Francia, “sarebbe stato conveniente forse proseguire via mare, con l’occupazione della Sardegna e della Corsica, per poi sbarcare in Toscana servendosi anche dell’isola d’Elba in funzione di ponte, o meglio in Provenza …”. Invece “è avvenuta l’avanzata nella penisola (italiana) …”. “Certo nel cambio di obbiettivo non si poteva affermare con serietà che la promessa di alleggerire la pressione sulla Russia fosse davvero mantenuta”.
Ancora il Di Giamberardino ha costatato che “è caratteristico dell’empirismo anglosassone quello di tendere ad allenamenti graduali, per saggiare le difficoltà e … giungere al momento dello sforzo massimo … con la quasi certezza di aver provveduto nel modo migliore a tutto …”.
Lo stesso storico afferma che “Gli Anglo-Americani, oltre tutto, attesero tanto nella convinzione che la Germania fosse ancora troppo forte e che convenisse farle subire altre onerose disavventure nel fronte orientale”.


[1] Giovanni De Luna, La Seconda Guerra Mondiale, in XIX Cap. del Vol. 13° de “La Storia” UTET Ed. Torino e La Biblioteca di Repubblica, 2004, p. 676.
[2] Ezio Costanzo, Sicilia 1943, Breve storia dello sbarco alleato, Le Nuove Muse ed. Catania, 2003, p.17.
[3] Harold Rupert Alexander, The Allied Armies in Italy, e  Le memorie del maresciallo Alexander, 1940-45, a cura di John North, Milano, Garzanti, 1963.
[4] G.A. Shepperd in La Campagna d’Italia, 1943-1945, Garzanti Ed. Milano 1975, pp. 14 e segg.
[5] Winston Churchill, La Seconda Guerra Mondiale, Vol. 6°,  su la Battaglia d’Africa e la Campagna d’Italia, I Problemi della Vittoria, Mondadori Ed. Milano 1965, pp. 2185 e segg.
[6] Carlo D’Este, Lo Sbarco in Sicilia, Mondadori Editore, 1990, p. 15 e segg.
[7] Arthur Bryant, Tempo di Guerra, Milano 1972, p. 795 e Simona Cascio, Luglio 1943 in Provincia di Enna, Memorie e Testimonianze, Tesi di Laurea Università di Catania, Fac. Scienze Formazione, a. a. 2006/07, p. 27.
[8] Hugh Pond, Sicilia!, Longanesi & C. Ed., Milano, 1964/71, p.37 e segg.  
[9] Carlo D’Este, op. cit. p. 30
[10] G.A..Shepperd in La Campagna d’Italia, 1943-1945, op. cit., pp. 14 e segg.
[11] Arthur Bryant, The Turn of the Tide  1939 – 1943, Collins Ed.. London 1953, p. 471.
[12] Claude Bertin, in “Dalla Sicilia alla Provenza”, in La Seconda Guerra Mondiale, Ed. Ferni, Ginevra, 1973, p. 10 e segg.
[13] Alberto Santoni, “Le operazioni in Sicilia e in Calabria (Luglio 1943 – Settembre 1943), edito dall’Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell’Esercito SME, Roma 1983, p. 26 e segg.
[14] Giovanni De Luna, La Seconda Guerra Mondiale, op.cit., p. 681.
[15] Oscar di Giamberardino, Introduzione allo studio delle operazioni nel bacino del Mediterraneo e nel Marocco nel periodo compreso tra lo sbarco in Africa e l’occupazione della Sicilia, Centro di alti Studi Militari, 3° Sessione, Roma 1951/52, p. 10 e segg.

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