LA II GUERRA MONDIALE AL GIRO DI BOA
IL 1943 E LA CAMPAGNA D’ITALIA
Tra
la fine del 1942, con la sconfitta di El Alamein in Africa, e l’inizio del
1943, con la caduta di Stalingrado in Europa e di Guadalcanal nel Pacifico, si
era esaurita definitivamente la prima fase espansiva della guerra da parte
delle truppe dell’Asse. Con le conseguenti ritirate, iniziò la seconda ed ultima fase.
Giovanni
De Luna, trattando de “La seconda guerra mondiale”[1], nel par. 7 su
“L’assalto alla fortezza Europa”, precisa che “La periodizzazione della seconda
guerra mondiale più diffusa a livello storiografico insiste nella distinzione
tra le due fasi, 1939/1943 e 1943/1945 prendendo come riferimento proprio
l’inversione di tendenza appena descritta …”
Anche
Ezio Costanzo, nel primo capitolo del suo libro “Sicilia 1943” ,[2] ritiene che “Il 1943,
oltre ad essere stato l’anno dell’assalto anglo-americano alla ‘fortezza
Europa’, rappresentò ‘il giro di boa’ del conflitto mondiale, registrando una
sequenza di eventi che aprirono la strada al definitivo crollo del dominio in
Europa del Terzo Reich.”
Per
le forze alleate anglo-americane si pose subito dopo il problema della
prosecuzione della guerra sia in Europa sia in Asia.
Il
14 Gennaio 1943 si incontrarono a Casablanca il Presidente Americano F. D.
Roosevelt ed il Primo Ministro Inglese W. Churchill per prendere in
considerazione l’apertura di un fronte
ad Ovest, come era stato espressamente ed insistentemente richiesto da Stalin,
per costringere i Tedeschi a difendersi su due fronti. Ovviamente trattarono
anche della prosecuzione della guerra nel Pacifico. In tale occasione fu deciso
lo sbarco in Sicilia e solo successivamente gli altri nell’Italia continentale.
Il
Gen. Alexander[3]
ci conferma che “allo scopo di aprire il Mediterraneo alla navigazione delle
Nazioni Unite senza tema di interruzioni, la Conferenza di
Casablanca considerò l’invasione della Sicilia come continuazione della
liberazione del Nord Africa”. Egli aggiunge che allora “non si guardò oltre” (e
cioè al successivo sbarco nell’Italia peninsulare).
Il
Colonnello inglese G. A. Shepperd[4] ci narra che “La
decisione di far seguire l’invasione della Sicilia all’eliminazione delle forze
dell’Asse nell’Africa settentrionale venne presa durante la conferenza di
Casablanca (Symbol) nel gennaio 1943 e i piani per l’attacco alla penisola
italiana si delinearono nel maggio 1943 durante la terza conferenza di
Washington (Trident) che segnò la nascita della campagna d’Italia.” …. Egli
precisa ancora che “Churchill[5] … parla del suo viaggio in Africa settentrionale
per incontrarsi con il generale Eisenhower, immediatamente dopo la conferenza
Trident. Fu qui che si decisero le sorti dell’Italia.”
Lo
storico italo-americano Carlo D’Este[6] ricostruisce nei
dettagli le vicende di questa conferenza e delle successive con ricchezza di
particolari e con riferimenti a fonti storiche e documentali di prima mano.
Gli
Americani proposero uno sbarco in Francia in quanto ritenevano determinante
portare subito la guerra nel cuore dell’Europa. Gli Inglesi, più prudentemente,
suggerirono di iniziare con uno sbarco in Sicilia, dove pensavano di poter
trovare una minore resistenza, per ottenere, oltre che una facile vittoria,
anche lo sganciamento dell’Italia dall’alleanza con la Germania. Rimasero
famose le parole usate in tale occasione da Churchill che sollecitava di
attaccare prima l’Italia perché la riteneva “il ventre molle dell’Europa”.
Gli
Inglesi, capeggiati da un Churchill irruento e caratteriale e dal Capo di stato
maggiore imperiale Generale sir Alan Bruke, metodico e pervicace, con l’assistenza
di uno staff efficientissimo e forte dell’esperienza acquistata in tre anni di
dura guerra, riuscirono a far valere le loro proposte. Gli Americani, invece,
rappresentati da un Roosevelt incerto e disponibile e, pur validamente
coordinati dal Generale George C. Marshall, Capo di Stato Maggiore, si
presentarono alla riunione senza un’adeguata preparazione strategica e senza
alcuna sostanziale esperienza per cui furono, alla fine, quasi costretti ad
aderire alle proposte inglesi, ricevendo soltanto un formale impegno di uno
sbarco in Francia da effettuarsi nel 1944.
Le
decisioni prese a Casablanca furono prodromiche delle successive risoluzioni
prese subito dopo a Washington e ad Algeri di continuare la guerra, dopo la
conquista della Sicilia, nell’Italia continentale e furono determinanti ai fini
del successivo andamento della stessa e lo furono di più per le sorti del
nostro paese. L’Italia fu sostanzialmente penalizzata da queste decisioni dato
che la guerra continuò nel suo territorio per tutti i due anni successivi con
immani lutti e distruzioni provocati dalla caduta del Fascismo, dall’invasione
tedesca e dalla conseguente guerra civile. Furono, invece, favorite la Sicilia e l’Italia
Meridionale dato che per questi territori la guerra finì quasi subito con dei
danni, tutto sommato, limitati.
Lunghe
ed, ancora oggi, controverse sono state le diatribe in ordine a tali scelte.
Programmare,
come fu fatto, un attacco all’Europa nazista partendo dalla Sicilia, è stato
considerato un malcelato progetto strumentale più che un grave errore
strategico.
Venne
previsto un attacco alla cosiddetta “fortezza Europa” affrontando il nemico in
uno dei punti più periferici e, come è stato detto, “anziché mirare al cuore o
alla testa preferirono colpirlo all’alluce”[7]. E, vedi caso,
l’alluce risultò essere peraltro uno dei baluardi geograficamente più
fortificati dello schieramento.
E’
probabile, infatti, che siano state tenute in maggior considerazione le
valutazioni politiche opportunistiche più che le condizioni oroidrografiche
della penisola italiana, interamente percorsa dalla catena montuosa degli Appennini
e delle sue propaggini che la traversano in tutti i sensi. Queste rendevano
difficilissima la conduzione di una guerra di movimento quale fu quella attuata
in tutto il conflitto, prima dai Tedeschi e poi dagli stessi Alleati.
Tuttavia
forse non venne considerato adeguatamente il potenziale difensivo delle truppe
tedesche che, in un tale territorio, riuscirono a bloccare e, comunque, a
rallentare per mesi e mesi l’avanzata degli Alleati.
Tale
circostanza fu, peraltro, subito evidente già in Sicilia dove un ridotto numero
di truppe tedesche, coadiuvate da pochi italiani male armati e demotivati,
riuscì a fermare per molte settimane l’invasione e principalmente l’VIII°
armata del Generale Montgomery nella linea pedemontana tra le province di
Catania ed Enna.
In
tal modo si consentì il ritiro oltre lo
Stretto di Messina di quasi tutte le truppe ed i mezzi combattenti, rendendo
per altro oltremodo difficile la conquista dell’Isola.
L’unico
previsto e concreto effetto che si ottenne fu quello della caduta di Mussolini,
del Fascismo e dell’armistizio con l’Italia. Tale vantaggio si rivelò, però,
praticamente inesistente e forse controproducente. Immediatamente dopo, infatti,
l’Italia venne invasa dai Tedeschi, senza che le poche truppe italiane
stanziate nel territorio nazionale, sbandate e mal comandate, avessero potuto opporre
resistenza alcuna (infatti il meglio dell’esercito era stato dislocato
all’estero ed era stato in gran parte annientato nelle disastrose campagne di
Russia e d’Africa).
Sta
di fatto che la campagna
d’Italia perdurò per ben due anni circa. Quando la Germania fu, alla fine,
messa in ginocchio a seguito dell’apertura del fronte occidentale dopo lo sbarco
in Normandia, avvenuto un anno dopo quello in Sicilia, ancora la conquista
dell’Italia non era stata completata.
Tali
decisioni furono variamente motivate e criticate.
Hugh
Pond[8], colonnello e storico
inglese, ci precisa che “gli Stati Uniti erano molto perplessi circa
l’opportunità di continuare la guerra, in qualunque forma, nel Mediterraneo ….
che tali operazioni non avrebbero distrutto la Germania , sarebbero state
di scarsa utilità alla Russia e non avrebbero avuto il minimo effetto sul
Giappone … e non si può dire che avessero torto.” A tali osservazioni, gli
Inglesi risposero ambiguamente e con inadeguate valutazioni strategiche, che
“Se si fosse arrivati a far uscire dalla guerra l’Italia, si sarebbe messa la Germania con le spalle al
muro”, ma tale conseguenza non ci fu.
Carlo
d’Este[9] afferma che,
nonostante gli Americani fossero contrari alla prosecuzione della guerra nel
Mediterraneo, tuttavia dovettero accettare a malincuore la scelta dello sbarco
in Sicilia tanto che: “Sebbene detestasse tutto ciò che aveva a che fare con il
Mediterraneo, Marshall non aveva dubbi sui vantaggi di invadere la Sicilia che considerava la
migliore delle alternative disponibili … Se le sue ragioni contro ulteriori
operazioni nel Mediterraneo non fossero state ascoltate (come non lo furono) ….
avrebbe accettato (come poi fece) la
Sicilia come operazione fondamentale e necessaria per
accorciare le linee di comunicazione ed aprire tutto il Mediterraneo al
movimento alleato”, ma non per altro.
Il
Colonnello G. A. Shepperd[10] non nasconde i contrasti
esistenti in proposito tra Inglesi ed Americani ed, a sostegno della strategia
inglese, riferisce quanto replicò sul punto di vista americano il generale
Alanbrooke con “un magistrale apprezzamento della situazione bellica” come
riportato da Artur Bryant[11]e cioè che “Le ventuno
divisioni disponibili nel 1943 non potevano portare a buon fine un attacco al
di là della Manica. I Tedeschi erano troppo forti in Francia … Tuttavia, se gli
Alleati avessero attaccato nel Mediterraneo, i Tedeschi sarebbero stati
costretti a spiegare … grandi forze per difendere una lunghissima linea costiera
… Eliminando dalla guerra l’Italia, gli Alleati ... avrebbero lasciato la Germania con 54 divisioni
e 2200 aerei in meno”.
Anche
lo storico Claude Bertin[12] ci conferma che la posizione inglese, portata
avanti da Churchill e dal suo Stato maggiore, era stata quella di ritenere che
l’Africa Settentrionale avrebbe dovuto “svolgere la funzione …. di un
trampolino di lancio” per invadere prima la Sicilia e poi l’Italia, come fu fatto, per poi
attaccare la Germania
da Sud, “essendo impossibile realizzare nel 1943 l’operazione Round-up (sbarco
in Francia) a causa delle difficoltà di mettere così rapidamente insieme le 48
divisioni …”.
Alberto
Santoni[13] aderisce a tali tesi
con ulteriori argomentazioni e conclude però che “La storiografia … soprattutto americana e marxista, punta
troppo spesso il dito accusatore su Churchill, raffigurandolo come prevenuto oppositore
del piano di sbarco oltre la
Manica , al deliberato proposito antisovietico … “ e si
dilunga poi su una presunta “buona fede di Churchill”, citando a sua difesa
alcuni scritti dello stesso interessato.
In
effetti bisogna pur riconoscere che è oltremodo probabile che la pervicacia
degli Inglesi e di Churchill in particolare nel sostenere la campagna d’Italia
fu determinata da inconfessabili calcoli politici a lungo termine.
Da
un lato si immaginava che dare eccessivo spazio alle iniziative americane
avrebbe potuto alla lunga aprire e facilitare la strada alla nuova nascente
leadership statunitense, a discapito di quella inglese. Dall’altro lato si
temeva anche che, aiutando concretamente i Russi con l’apertura immediata di un
nuovo fronte in Francia, questi ultimi avrebbero avuto più facilmente ragione
dei Tedeschi occupando gran parte dell’Europa continentale, a discapito di
tutto il mondo occidentale.
Sta
di fatto che ambedue le ipotesi vennero mancate: gli Americani riuscirono lo
stesso a subentrare all’Inghilterra nella leadership del mondo occidentale e la Russia riuscì ad occupare
tutta l’Europa dell’Est, mantenendola poi sotto la sua concreta dominazione per
oltre sessanta anni.
Come
ci dice lo storico Giovanni De Luna[14], “In Wiston
Churchill, una volta emersa con chiarezza la prospettiva della sconfitta
hitleriana, furono molto presenti considerazioni e progetti legati più al
dopoguerra che non alla guerra stessa. In particolare sul secondo fronte,
Churchill fu sempre molto tiepido agli appelli di Stalin …”.
Egli
continua assumendo che “Strenuo assertore del secondo fronte fu invece
Roosevelt … (che) rimase sempre fedele al suo disegno strategico iniziale,
quello che nella Germania aveva identificato l’avversario da battere …”.“(Egli)
era assistito dalla consapevolezza che, alla fine della guerra, si sarebbe
registrata comunque una incontrastata leadership internazionale degli U.S.A.
tale da non rendere preoccupante un’eventuale accresciuta potenza sovietica …”.
L’Amm.
Oscar Di Giamberardino[15] rileva che, dato che
i Sovietici avevano “insistito” per l’apertura di “un nuovo fronte nell’Europa
Occidentale allo scopo di far diminuire la pressione” tedesca sul fronte russo,
gli Inglesi, ricordando Dunkerque, “non erano propensi a ritentare un’altra azione
in Francia”, per cui proposero prima uno sbarco nell’Africa del Nord e poi in
Sicilia.
Continua
poi il Di Giamberardino che, non volendosi o non potendosi gli Alleati
impegnare in Francia, “sarebbe stato conveniente forse proseguire via mare, con
l’occupazione della Sardegna e della Corsica, per poi sbarcare in Toscana
servendosi anche dell’isola d’Elba in funzione di ponte, o meglio in Provenza
…”. Invece “è avvenuta l’avanzata nella penisola (italiana) …”. “Certo nel cambio
di obbiettivo non si poteva affermare con serietà che la promessa di
alleggerire la pressione sulla Russia fosse davvero mantenuta”.
Ancora
il Di Giamberardino ha costatato che “è caratteristico dell’empirismo anglosassone
quello di tendere ad allenamenti graduali, per saggiare le difficoltà e … giungere
al momento dello sforzo massimo … con la quasi certezza di aver provveduto nel
modo migliore a tutto …”.
Lo
stesso storico afferma che “Gli Anglo-Americani, oltre tutto, attesero tanto
nella convinzione che la
Germania fosse ancora troppo forte e che convenisse farle subire
altre onerose disavventure nel fronte orientale”.
[1] Giovanni De
Luna, La Seconda Guerra
Mondiale, in XIX Cap. del Vol. 13° de “La Storia ” UTET Ed. Torino e La Biblioteca di
Repubblica, 2004, p. 676.
[2] Ezio Costanzo,
Sicilia 1943, Breve storia dello sbarco alleato, Le Nuove Muse ed. Catania,
2003, p.17.
[3] Harold Rupert
Alexander, The Allied Armies in Italy, e
Le memorie del maresciallo Alexander,
1940-45, a
cura di John North, Milano, Garzanti, 1963.
[4] G.A. Shepperd in
La Campagna d’Italia, 1943-1945, Garzanti Ed. Milano 1975, pp. 14 e segg.
[5] Winston
Churchill, La Seconda
Guerra Mondiale, Vol. 6°,
su la Battaglia
d’Africa e la Campagna
d’Italia, I Problemi della Vittoria, Mondadori Ed. Milano 1965, pp. 2185 e
segg.
[6] Carlo D’Este, Lo
Sbarco in Sicilia, Mondadori Editore, 1990, p. 15 e segg.
[7] Arthur Bryant,
Tempo di Guerra, Milano 1972, p. 795 e Simona Cascio, Luglio 1943 in Provincia di Enna,
Memorie e Testimonianze, Tesi di Laurea Università di Catania, Fac. Scienze
Formazione, a. a. 2006/07, p. 27.
[8] Hugh Pond,
Sicilia!, Longanesi & C. Ed., Milano, 1964/71, p.37 e segg.
[9] Carlo D’Este,
op. cit. p. 30
[10] G.A..Shepperd in
La Campagna
d’Italia, 1943-1945, op. cit., pp. 14 e segg.
[11] Arthur Bryant,
The Turn of the Tide 1939 – 1943,
Collins Ed.. London 1953, p. 471.
[12] Claude Bertin,
in “Dalla Sicilia alla Provenza”, in La Seconda Guerra
Mondiale, Ed. Ferni, Ginevra, 1973, p. 10 e segg.
[13] Alberto Santoni,
“Le operazioni in Sicilia e in Calabria (Luglio 1943 – Settembre 1943), edito
dall’Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell’Esercito SME, Roma 1983, p. 26 e
segg.
[14] Giovanni De
Luna, La Seconda Guerra
Mondiale, op.cit., p. 681.
[15] Oscar di
Giamberardino, Introduzione allo studio delle operazioni nel bacino del
Mediterraneo e nel Marocco nel periodo compreso tra lo sbarco in Africa e
l’occupazione della Sicilia, Centro di alti Studi Militari, 3° Sessione, Roma
1951/52, p. 10 e segg.
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